La *Psicoterapia della Gestalt* si è sempre rifiutata di essere un modello
tecnicistico, caratteristica questa che le ha permesso di continuare ad
esistere come “cosa viva” senza venire irrigidita da strutture teoretiche
che la organizzassero in un modello statico e “vero”. Nondimeno, per la
sopravvivenza dell’ “organismo Gestalt”, è auspicabile che esso si collochi
con chiarezza all’interno di una corrente di pensiero che gli fornisca
solide radici teoriche. L’*approccio fenomenologico esistenziale* è il
principale paradigma di riferimento della psicoterapia della Gestalt, così
come insegnata presso l’Istituto Gestalt Firenze.L’approccio gestaltico non deriva direttamente dal suo background teorico,
ma si è evoluto da un’altra prassi, la Psicoanalisi, man mano che a questa
venivano meno alcuni capisaldi teorici. La Psicoterapia della Gestalt è in
un certo senso quello che resta della Psicoanalisi una volta tolto il
supporto epistemologico del modello fisicalista, sostituito da Fritz Perls
con la Psicologia della Gestalt, l’*Esistenzialismo* e la *Fenomenologia*.L’Esistenzialismo è un taglio filosofico che ribalta l’ottica di tutto il
pensiero classico, sia cioè dell’Idealismo che del Materialismo.
Nell’Esistenzialismo il fuoco si sposta dall’oggetto osservato
all’attenzione del soggetto osservante: l’avventura del singolo pensatore
si sostituisce all’indagine oggettiva e assoluta. In un’ottica
esistenzialista la volontà è il limite estremo dell’indagine, oltre il
quale questa non è più lecita.La concezione del dolore invece, che da Schopenauer, a Kierkegaard a
Sartre, in forme diverse si ripropone come verità assoluta, è un’ombra alla
quale Perls si ribella sottolineandone il valore biologico piuttosto che
spirituale. L’uomo è visto come parte della natura, è un avvenimento
biologico, la società stessa fa parte della natura.L’azione responsabile e la coscienza sono di conseguenza funzioni sociali
biologiche. Il processo di integrazione può avere successo solo se tutta
l’attività umana, sia quella deliberata come quella spontanea, i sentimenti
come i pensieri, sono considerati e trattati come basilari e ineludibili
processi biologici. Il dolore, quindi, altro non può essere considerato che
un campanello d’allarme, che avverte l’organismo della necessità di
intervenire sulla situazione in corso.Con Heidegger, l’Esistenzialismo ha portato poi la Fenomenologia
husserliana oltre la visione del suo fondatore: se Husserl intendeva la
Fenomenologia come osservazione rigorosa del fenomeno con sospensione di
teorie e giudizi, in Heidegger diventa la teoria della manifestazione come
unico luogo dove l’ente diventa essente. Il manifestarsi non appare dunque,
semplicemente come un fenomeno cui destinare il rigore scientifico, ma
oggetto cui dare valore per eccellenza.Così l’apparire, il manifestarsi, l’essere fenomeno è il massimo che si può
chiedere all’ente (persona o oggetto che sia) ed è degno in sé del massimo
rispetto: il fenomeno non deve essere riportato a un piano di realtà di
maggior valore come si fa quando lo si interpreta concettualmente.Diversamente dalla Psicologia associazionista, gli studi di Perls hanno
preso l’avvio da una visione basata su alcuni principi fondamentali
derivati dagli Psicologi della Gestalt e da autori a loro vicini. Partendo
dai dati sensoriali, gli Psicologi della Gestalt sottolineano come questi
vengano assunti dall’organismo in maniera differenziata, vale a dire non
semplicemente secondo un grafico di aumento progressivo costante, ma con un
andamento piuttosto sinusoidale, con una curva cioè ciclicamente
restrittiva dei dati che l’organismo riesce ad assumere. La percezione
quindi risulta intenzionalmente organizzata, ed i dati preferenzialmente
assumibili sarebbero quelli richiesti per il completamento di una Gestalt,
vale a dire di un insieme che ha un determinato senso per l’organismo, il
quale e’ caratterizzato appunto da intenzionalita’.Questa modalità organizzativa oltre che una tendenza è anche un bisogno
dell’organismo, ed è con questo bisogno che Perls spiega le cosiddette
fissazioni nevrotiche, nel suo pensiero rappresentate come Gestalt
incompiute che riemergono continuamente nell’aspettativa di raggiungere una
conclusione.Negli Stati Uniti Perls incontra con Goodman il pragmatismo, un punto di
vista filosofico poco apprezzato nell’Europa accademica del tempo, ma
adatto al suo approccio: W. James infatti aveva proposto a suo tempo che le
ipotesi teoriche fossero limitate dalle condizioni esistenziali della
persona che le elabora, cioe’ che l’attivita’cognitiva non potesse essere
disgiunta dalle contingenze vitali del soggetto conoscente. Ci sono ipotesi
vive e ipotesi morte, diceva, cioè ipotesi magari validissime per qualcuno,
ma fuori dalla portata di qualcun altro (… si sentono qui le avvisaglie di
quel complesso teorico che è oggi il costruttivismo…).Se in un’ottica pragmatica l’interpretazione è dunque legata anche al
vissuto della persona, la traduzione, il rimando, capire che “questo è
quello”, resta però lo strumento operativo fondamentale, e purtroppo la
grande funzionalità del pragmatismo ha fatto sì che alcuni gestaltisti si
scordino del fatto che non a caso la Psicoterapia della Gestalt si chiama
in questo modo: la psicologia della Gestalt, che della fenomenologia è
figlia, ne è la base fondante, e qui i processi non possono mai essere
sostituiti da strutture (concettuali), se non in maniera funzionale e
transitoria. Le mappe insomma sono utili per orientarsi, ma non vanno mai
confuse con il territorio: capire cioe’ non può mai sostituirsi a esperire
se si vuole rimanere coerenti a questo punto di vista, e il “circolo
ermeneutico”, l’infinito dispiegarsi dei rimbalzi dell’intersoggettività,
non può essere spezzato nel nome della conoscenza oggettiva.Come l’interpretazione accomuna tutte le scuole freudiane, così nella
Psicoterapia della Gestalt è l’espressione il cavallo di battaglia di tutti
gli indirizzi. Gli impliciti possono essere però molto differenti: si può
esprimersi in un’ottica abreativa, cioe’ per liberarsi dalla pressione
interna, o funzionale, cioe’ per raggiungere gli oggetti biologici delle
proprie pulsioni, o si può farlo per integrare la molteplicita’ del mondo
interno in una unita’ coesa, ed è in questo che si separano i cammini delle
scuole a orientamento pragmatico da quelle a orientamento fenomenologico
esistenziale.Normalmente questa differenza non viene esplicitata nel lavoro clinico, ma
non per questo non ha peso: la funzionalità di una espressione non
corrisponde infatti necessariamente al piacere dell’esperienza. Il concetto
di “phýsis”, natura, nel mondo classico, a differenza dell’accezione
scientifica moderna, non indica solo una “natura naturata”, oggetto dunque
della conoscenza e della funzionalita’, ma anche a *una “natura naturans”,
una natura attiva, soggetto di portata insondabile, che crea mentre esiste*.In questa ottica cioè un fenomeno non è un semplice oggetto che deve essere
conosciuto e gestito: è in sé un avvenimento attivo, creativo, che “fa” il
mondo, che in sé contiene significato esistenziale, cioè senso e
motivazione per l’esistenza: esprimersi è certo anche funzionale, ma è
soprattutto senso della vita, un mistero che non richiede di essere
risolto, ma contemplato, vissuto, come direbbe Kierkegaard.Sul piano tecnico, l’approccio fenomenologico esistenziale si appoggia ai
capisaldi della responsabilita’ e del fenomeno secondario, cioe’ del
sentire: per intervenire nell’esperienza del paziente, il terapeuta ha a
disposizione la possibilita’ di richiamare l’attenzione sul fatto che,
essendo inevitabile sentire, in ogni momento si sente qualcosa, e per
ragioni fisio-biologiche questo sentire si inscrive nel registro delimitato
dalla polarita’ piacere-dispiacere. La scelta ovviamente non si identifica
semplicemente con il piacere, come la direzione che da’ la bussola non si
identifica semplicemente con il nord: sapendo cosa e’ piacevole e cosa e’
spiacevole si possono pero’ fare scelte responsabili, come quella di
ingoiare medicine di cattivo sapore per il bene del proprio organismo. Se
la persona e’ responsabile per la conduzione della sua vita, cioe’ per le
scelte che fa momento per momento, le opzioni delle scelte sono in ogni
caso limitate dalla possibilita’ di riuscire a distinguere: essendo parte
della terapia ampliare, per quanto plausibile, la gamma delle scelte
possibili, e’ compito del terapeuta che voglia lavorare in un’ottica
fenomenologico-esistenziale supportare questo sviluppo. “Cosa vuoi fare qui
ed ora” e’ il leitmotiv della seduta nella prassi della Gestalt, perche’
non c’e’ altro topos per fare qualcosa che non sia il qui e ora, o il li’ e
allora che dir si voglia, cioe’ si puo’ operare sulla realta’ solo in un
luogo e un tempo determinato. La messa in atto delle decisioni puo’
richiedere un momento futuro, ma la decisione in se’ puo’ essere presa
comunque nel qui e ora della seduta, anche se magari verra’ cambiata poi.
Se concretamente la vita e’ diacronica, per quello che riguarda il senso e’
sincronica: tutta l’architettura di senso costruita lungo l’arco di una
vita, nel momento presente si sostiene una parte con l’altra e lascia
fluire la trasmissione del sostegno, quell’effimera e fondamentale
esperienza che e’ il senso della vita, sulla quale hanno effetto
determinante le decisione che la persona prende via via.